Da una parte c’è il gravare del mondo istintuale che trascina verso il basso, l’animalità, dall’altra abbiamo la coscienza, la spiritualità e l’esigenza di “elevarsi” costantemente.

D’improvviso ci sembra di sbandare. La testa gira, la vista si annebbia e sentiamo di perdere l’equilibrio. Queste sono le vertigini, un sintomo che ciascuno di noi, almeno in forma lieve, ha provato una volta nella vita. L’origine organica può risiedere in disfunzioni degli apparati preposti al mantenimento dell’equilibrio e dell’orientamento. Ricordiamo, però, che le malattie in una visione psicosomatica non sono da considerarsi come l’espressione di un guasto all’interno della macchina-corpo. Sono innanzitutto un avvenimento da comprendere, ossia l’espressione di disagi profondi dell’individuo nella sua interezza.

Ogni disturbo fisico ci parla di noi e ha un senso. Per comprendere il messaggio che le vertigini vogliono comunicarci dobbiamo quindi interrogarci sul significato simbolico di ciò che viene a mancare durante l’attacco di questo fastidioso male: la postura eretta e la vista.

La postura eretta è una prerogativa dell’uomo ed è qualcosa che guadagniamo gradualmente. Il resto del mondo animale, invece, impara molto velocemente a muoversi come i suoi simili. L’uomo, all’apice della catena filogenetica, camminando su due piedi ed ergendosi verso il cielo, si è allontanato così dalla terra, dal basso e dalle sue origini animali. Perciò la posizione eretta rappresenta il predominio della coscienza e dell’Io sugli istinti, l’orientamento dell’essere umano verso la ragione, la consapevolezza e la spiritualità.

Ma la forza di gravità tiene con i piedi per terra, richiama verso il basso, la materia e le radici che, sebbene siano la nostra matrice primaria, aspiriamo a trascendere. Nel vertiginoso la tendenza verso l’alto e verso il controllo delle pulsioni risulta esasperata. Ne consegue che ci si allontana sempre più dalla terra e dalla base istintuale originaria, perdendo così la capacità di relazionarsi con la parte più profonda di sé. Le vertigini rappresentano allora l’insurrezione del mondo emozionale che ci costringe a vacillare e ci mette in crisi.

Poi il fatto che la funzione visiva, consentendoci di orientarci nello spazio, di conoscere e di padroneggiare le situazioni, venga meno, simbolicamente indica che è ora di tagliare i ponti con tutti i riferimenti quotidiani per ristabilire un nuovo equilibrio e un nuovo punto di vista sul mondo.

Un altro aspetto simbolico delle vertigini è connesso a situazioni irrisolte di dipendenza in cui il nostro equilibrio personale è strettamente correlato alla presenza, al giudizio o all’appoggio di un genitore, di un amico o un parente. In questi casi, abbiamo sempre bisogno di qualcuno al nostro fianco, non sappiamo decidere per conto nostro e dunque non siamo autonomi. Quando improvvisamente, per un motivo qualsiasi, tale appoggio viene a mancare, traballiamo.

Un’altra situazione tipica in cui le vertigini possono fare la loro comparsa sono i momenti in cui la vita ci sembra del tutto precaria, ci sentiamo inadeguati e i riferimenti a cui ci affidavamo abitualmente vanno mutando. Un lavoro che cambia, una relazione sentimentale che finisce, un trasferimento di abitazione o di città, rappresentano, per esempio, una sorta di scenario nuovo a cui ci dobbiamo adattare. Ecco allora che le vertigini testimoniano un processo di assestamento che stiamo mettendo in atto.

Pertanto, le vertigini non vanno combattute: attraverso qualche incontro di psicoterapia si potrebbe cogliere il senso di quanto stanno esprimendo. 


BIBLIOGRAFIA
Dizionario di Medicina Psicosomatica. Edizioni Riza S.p.A. 2012. 

Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia