Il grande fantasma è la paura, una paura profonda e antica del vuoto, perché nel vuoto possono emergere emozioni che si fatica a controllare.
La parola chiave per comprendere la dimensione simbolica dell’ipertensione è controllo o, meglio ancora, ipercontrollo. Gli ipertesi, infatti, hanno in comune una caratteristica evidente: poichè sanguigni, caratterizzati cioè da una forte carica vitale, superiore alla media, hanno uno spiccato bisogno di controllare le proprie emozioni. Questo è generalmente accompagnato dalla propensione a dare poco valore all’introspezione.
Il grande fantasma è la paura, una paura profonda e antica del vuoto, perché nel vuoto (i silenzi, le pause, il pensionamento, qualcosa che giunge al termine, ecc.) possono emergere emozioni che si fatica a controllare. Ebbene, paura di lasciarsi andare.
Vi porto la storia di Giovanni. Ha lavorato come ragioniere in un’azienda e da non molto è in pensione, periodo questo in cui le crisi ipertensive si sono fatte più frequenti e preoccupanti. Non ricorda un giorno in cui non abbia lavorato, anche piccoli impegni, che però non lo facevano stare con le mani in mano. Sempre impegnato e di corsa, ha vissuto col pensiero di non riuscire a mettere da parte il denaro sufficiente per sistemare tutta la famiglia e garantirsi un futuro tranquillo. Di indole iperattiva, appassionato, esuberante, da qualche anno si sforza però di non arrabbiarsi mai, di non eccedere in nulla perché teme di morire d’infarto o di ictus cerebrale.
“Vengo da lei dottoressa perché soffro di ipertensione. Naturalmente prendo farmaci che me la tengono bassa, ma sono qui perché l’idea di continuare con le medicine non mi piace. Vivo in una villetta fuori città, all’aria aperta, ho tutto quel che voglio, non ho problemi…sono ormai una persona tranquilla, ma questa pressione…! Ho lavorato duro tutta una vita per avere la mia libertà, ma adesso non me la posso godere perché sto sempre sottosopra e ho paura dell’ictus”.
Per raggiungere certi risultati, negli anni è stato per lui necessario avere la testa sulle spalle, tenersi a freno, evitare emozioni forti e sobbarcarsi doveri e responsabilità. Ma da ragazzo non era così. Al contrario, si infiammava per un nonnulla ed era sempre pronto allo scontro fisico.
“A volte mi capitava di arrabbiarmi di brutto, non c’era niente che poteva fermarmi, ero come un treno in corsa. Adesso è tutto diverso, ormai sono vecchio e un pò scassato…forse dovrei mettermi definitivamente tranquillo e accettare anche questa malattia come un regalo degli anni”.
In virtù della famigerata tranquillità senile, Giovanni è andato via via spegnendo dentro di sé le parti più vitali. La natura passionale e irruente, dunque, ha dovuto via via cedere il passo ad una maggiore pacatezza e freddezza razionale. Così come l’iperattività di una vita è stata sostituita con la decisione di non dover fare più niente. Decisione di testa che, alla fine, si scontra con l’intima natura di Giovanni.
Ecco allora l’ipertensione: quell’energia vitale che non si è spenta, ma che, soffocata, parla attraverso il corpo, la sofferenza del corpo. Solo accettando che accanto ad un Giovanni tranquillo e responsabile esiste un Giovanni che sa ancora infiammarsi e avere comportamenti anche avventati, potrà ritrovare il suo equilibrio e la sua forza e tornare così a stare bene. Da un punto di vista psicosomatico, un cambio di atteggiamento può permettere di guadagnare parecchi millimetri di mercurio nei valori della pressione, se non addirittura far scomparire completamente la patologia.
BIBLIOGRAFIA
Dizionario di Medicina Psicosomatica. Edizioni Riza S.p.A. 2012.
Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia.