La tradizione alchimistica e la pratica analitica hanno in comune il tentativo di creare una realtà nuova e superiore: da una parte l’oro, la pietra filosofale, dall’altra la presa di coscienza.

Non bisogna sottovalutare il sentirsi perduti nel caos: tale smarrimento è la “conditio sine qua non” di ogni rinnovamento dello spirito e della personalità, sicchè rappresenta il primo contatto cosciente con la propria Ombra, il lato negativo della personalità.

Secondo C. G. Jung, padre della psicologia analitica, che condivido e propongo, l’individuazione è ciò che ciascuno di noi è chiamato a fare allo scopo di sviluppare la propria personalità individuale e differenziarsi dagli altri, diventando unico. Caposaldo della terapia junghiana, si può dire che il processo di individuazione è lo scopo stesso dell’esistenza. Ognuno di noi fino a circa 35 anni, è chiamato, da un punto di vista psichico, ad un impegno, che occupa gran parte delle proprie energie: conoscere, tenere a bada e utilizzare le proprie pulsioni psichiche. Ebbene, l’obiettivo della prima parte della nostra vita, e di una eventuale psicoterapia, in questa fase, è quello di diventare dei bravi cittadini che vivano in maniera sufficientemente equilibrata le proprie pulsioni e che, se vi sono state voglia e necessità, abbiano generato nuove vite. Il processo di individuazione arriva dopo questa fase di adattamento: è un processo che interessa la seconda parte della vita, una volta superate le tensioni pulsionali appunto.

Ma di fatto, in che consiste un’analisi che tenda all’individuazione del paziente? E’ bene prendere in prestito le immagini alchemiche di Jung, che paragonava l’analisi ad un percorso di purificazione. La tradizione alchimistica e la pratica analitica hanno in comune, infatti, il tentativo di creare una realtà nuova e superiore: da una parte l’oro, la pietra filosofale, dall’altra la presa di coscienza. Jung comprese che la produzione alchemica dell’oro non è altro che una metafora del raggiungimento del Sé e capì che le operazioni che dovevano portare alla realizzazione della pietra filosofale indicavano in realtà le tappe fondamentali che la psiche deve attraversare per ottenere la propria completa individuazione.

Alchimicamente, la nerezza, o nigredo, è lo stato iniziale, preesistente come qualità caotica della materia prima o provocato dalla decomposizione degli elementi. Non bisogna allora sottovalutare il sentirsi perduti nel caos: tale smarrimento è la conditio sine qua non di ogni rinnovamento dello spirito e della personalità, sicchè rappresenta il primo contatto cosciente con la propria Ombra, il lato negativo della personalità.

Dalla nigredo, dall’imparare a convivere con la propria Ombra, si passa poi all’opera al bianco, l’albedo, cioè al lavaggio o imbiancamento. Se l’opera al nero ha consentito di sperimentare una sorta di morte della propria vecchia personalità, con l’albedo comincia un processo di rinascita che porta un nuovo e più ampio senso della vita e di ciò che siamo soliti chiamare “conoscenza”.

L’albedo è in certo qual modo l’alba, ma solo la rubedo, l’opera al rosso, è il sorgere e il culminare del sole, e non ci può essere rubedo senza identificazione con la forza suprema dell’Eros, dell’Amore che vince su tutte le cose. Esso serve per ricongiungersi con l’altro da sé, quella figura di sesso opposto che è comparsa e che si è imparato a conoscere nell’opera al bianco. Ed ecco che solo l’amore, il calore del congiungimento dato dall’eros, apre le porte a questa terza ed ultima fase, che Jung, secondo la migliore tradizione alchemica, riassunse nella dicitura latina mysterium coniuctionis.

BIBLIOGRAFIA
Carl Gustav Jung. Psicologia e alchimia. Bollati Boringhieri 2006.

Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia