Lo stress è uno stato di tensione o resistenza di una persona a forze interne o esterne che agiscono su di essa. In realtà, esiste anche uno stress “buono”.
Il termine stress deriva dalla lingua inglese: originariamente significava difficoltà, avversità e in seguito, durante il XIX secolo, assunse i significati più ristretti di tensione, pressione e sforzo.
Il primo a utilizzare questo vocabolo comune per indicare una patologia fu il biologo viennese Hans Selye. Egli studiava tutte le reazioni che gli organismi viventi mettono in atto nel momento in cui si trovano di fronte a un pericolo o a una novità potenzialmente dannosa. In queste circostanze, in tutti gli esseri viventi compaiono delle reazioni di allarme, che si esprimono con modificazioni comportamentali e fisiologiche sempre più acute via via che lo stimolo persiste o si aggrava.
Selye, in particolare, si concentrò su tutti quei sintomi aspecifici, cioè non caratteristici di una specifica malattia, ma che compaiono sempre, in tutte le malattie. Si accorse cioè che il nostro organismo, quando è sottoposto a ostacoli fisici o psicologici, o appunto a malattie, reagisce con particolari risposte che coinvolgono molti apparati e funzioni. Egli definì tutte queste reazioni come “sindrome adattiva generica” o, più semplicemente, stress. Lo stress è dunque uno stato di tensione o resistenza di una persona a forze interne o esterne che agiscono su di essa.
Possiamo distinguere tre fonti di stress:
• uno stress legato alla sopravvivenza: il dolore fisico, la malattia, situazioni di minaccia più o meno grave alla vita e alla salute;
• uno stress ambientale: inquinamento, traffico, sovraffollamento, disagio, scomodità, situazioni di lavoro o di vita insalubri;
• uno stress di tipo psicosociale, cioè in generale tutti gli stati emotivi che insorgono nell’individuo in relazione alle novità o a situazioni difficoltose: la competizione esasperata, le frustrazioni, il senso di inadeguatezza reale o presunta, la carenza di stimoli (anche una condizione noiosa e ripetitiva è dannosa all’organismo) e tutti i fattori che limitano o impediscono l’autonomia individuale, come la delusione delle aspirazioni, la fine di relazioni importanti, i lutti fino a situazioni di limitazione reale o psicologica della libertà.
Selye aveva inoltre distinto tre fasi della sindrome da stress, ossia l’allarme, la resistenza e il logoramento. La prima è il momento in cui si avverte il pericolo e si reagisce con spavento o attenzione. La seconda è la fase in cui l’organismo viene sottoposto a stati di tensione più o meno prolungata e in cui cerca di tener duro. La terza è, invece, la fase del crollo, l’esaurimento delle energie e l’insorgenza di patologie, e avviene quando la fonte di stress è superiore alla capacità di resistenza.
Oltre a ciò, Selye aveva indicato come, in realtà, esista anche uno stress “buono”. Si tratta di uno stato di attenzione e vigilanza dell’organismo che non ne minaccia la salute, ma che, al contrario, è il segno della sua capacità di reazione, della presenza di stimoli adeguati sia interni che esterni. Questo stress buono, che chiamò “eustress”, per distinguerlo da quello cattivo, detto “distress”, corrisponde alla normale attività dell’individuo quando vive la sua vita quotidiana, contornato da stimoli che richiedono sue continue risposte intelligenti e creative. Nella sua forma più naturale, rappresenta lo stato di attenzione volto a far fronte alle richieste dell’ambiente e caratterizza, quindi, l’esperienza vitale di ogni organismo vivente. In quantità non eccessive, cioè quando non supera i limiti di sopportazione propri di ogni individuo, tale eustress rappresenta il “sale della vita”, quel giusto stato di brio che accompagna l’attività fisiologica e psicologica. Senza “eustress”, dunque, saremmo un po’ degli zombi incapaci di muoverci e di soddisfare i nostri bisogni e i nostri desideri.
BIBLIOGRAFIA
Raffaele Morelli. Come essere felici. Oscar Mondadori Libri. 2016.
Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia.