La cervicalgia sta ad indicare un rapporto rigido tra collo e testa e rivela che emozioni e razionalità non dialogano. Il più delle volte la troppa razionalità è associata a un rigido senso del dovere.
Il tratto cervicale è costituito da sette vertebre, la prima delle quali, che sostiene la testa, prende il nome di Atlante, il titano mitologico condannato a sostenere su di sé l’intero peso del mondo. Da un punto di vista simbolico, si tratta di un vero e proprio crocevia tra il capo e il resto del corpo. Infatti, all’interno del collo, in poco spazio, il compito di vertebre, muscoli, articolazioni e nervi è quello di veicolare tutte le sollecitazioni e le informazioni che il corpo e la testa si scambiano a vicenda. E’ proprio per questo che spesso i disturbi che riguardano quest’area sono legati a un equilibrio che viene a mancare.
Dunque, il dolore al collo e alla nuca, talora accompagnato da difficoltà di movimento, rigidità muscolare e disturbi della sensibilità di braccia o mani, quali i formicolii, sta ad indicare un rapporto rigido tra collo e testa e rivela che emozioni e razionalità non dialogano. Il più delle volte la troppa razionalità è associata a un rigido senso del dovere.
Ecco allora le due tematiche principali di chi soffre di cervicale: persona di solito socialmente inserita e affidabile sul lavoro e nelle amicizie, ma che per mantenere questi aspetti paga un duro prezzo nella vita personale. La cervicalgia si presenta così in chi, spesso inconsapevolmente, tenta un controllo mentale esasperato sui vari aspetti della realtà, come ad esempio le proprie emozioni e istinti, di cui sente la vitalità ma che, in fondo, non conosce e che quindi teme, il proprio corpo, che osserva dall’alto della mente e che trascura, ritenendolo secondario, le relazioni, che impronta su un piano di rassicurante razionalità, anche se ben mascherata da una empatia di facciata ed, infine, la spiritualità, che impregna di significati logici e filosofici. Inoltre, al controllo si affianca il senso di responsabilità e spesso la tendenza all’altruismo.
Ma in realtà, ci si occupa degli altri per non occuparsi di sé, per difendere narcisisticamente la propria immagine idealizzata di persona sensata e intelligente, oppure per gestire le azioni altrui, così da non perdere il controllo della situazione. Ebbene, il dolore diventa espressione, da un lato, della grande fatica a mantenere questo precario equilibrio, dall’altro, della necessità di un cambiamento nella propria postura esistenziale.
Senza la riduzione del carico di impegni o un atteggiamento più consono alla propria natura, nessun intervento potrà essere però realmente efficace. E’ bene pertanto prenderne consapevolezza, eventualmente attraverso un trattamento psicoterapico ad indirizzo psicosomatico.
BIBLIOGRAFIA
Dizionario di Medicina Psicosomatica. Edizioni Riza S.p.A. 2012.
Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia.