Quanti sanno che le modalità con cui comunichiamo con noi stessi e con gli altri possono anche trasformarsi in una fonte di salute e benessere o, viceversa, in una causa di disagio e malattia?
Nella vita di tutti i giorni comunicare dovrebbe essere semplice come respirare, mangiare o ricaricare le energie attraverso il sonno. Ma comunicare non significa semplicemente informare: vuol dire “entrare in relazione”, e dunque scambiare informazioni, messaggi, sensazioni, timori, desideri con soggetti esterni a noi. Sappiamo che non comunicare è praticamente impossibile perché, seppur il più delle volte noi non ce ne rendiamo nemmeno conto, anche il silenzio, gli sguardi fugaci oppure penetranti, gli atteggiamenti non verbali o determinate posizioni del volto apparentemente irrazionali, sono aspetti che parlano per noi e manifestano il nostro modo di essere, i nostri stati d’animo e le nostre paure.
Ma quanti sanno che le modalità con cui comunichiamo con noi stessi e con gli altri possono anche trasformarsi in una fonte di salute e benessere o, viceversa, in una causa di disagio e malattia? Ci sono, infatti, momenti e circostanze della vita in cui le parole riescono a diventare pesanti come pietre, taglienti come coltelli o, al contrario, non lasciare alcuna traccia là dove invece sarebbe stato necessario imprimere un segno. All’opposto, in altre situazioni le parole salvano, consolano, coccolano, restituiscono significato, scaricano tensioni e generano energia, trasformandosi da pura espressione emotivo-verbale in autentica terapia. Anche i grandi saggi lo sapevano: le parole creano, hanno il potere straordinario di cambiare la realtà e di modificare profondamente il nostro pensiero.
Del resto, Pavel Florenskij, teologo, pensatore e simbolista russo, scrive che la parola ha lo stesso potere fecondante della cellula seminale. Proprio come lo sperma attraverso la fecondazione genera una nuova persona, così la parola seminata nel cervello dà origine a nuovi modi di vivere e di pensare. Non solo. Sempre secondo Florenskij, la parola sarebbe dotata di una vita propria e sarebbe simile a un organismo che si scioglie e si stacca dagli organi vitali, viene partorito e nasce dal grembo della voce. Quasi a dire che ogni volta che parliamo partoriamo di nuovo noi stessi e nuove realtà nel mondo e tra le persone che ci circondano.
Per questo possiamo tranquillamente affermare che noi diventiamo realmente le parole che pronunciamo, quelle che abbiamo ascoltato e che continuiamo ad ascoltare. Se ascoltiamo quindi solo parole inutili, se siamo sepolti dalle frasi fatte, dai saluti banali, dai modi di dire vuoti di significato, alla fine diventiamo inutili. Pertanto, chi comprende che il parlare agisce sull’intero essere, sarà molto sobrio nell’uso del linguaggio. Comunicare in maniera adeguata rende così la vita molto più semplice, se non più godibile e serena: imparando infatti a conoscere il valore del linguaggio e l’efficacia del tono di voce, il ritmo della narrazione e il significato del silenzio, l’uso della gestualità e i segreti della comunicazione corporea, diventiamo più consapevoli delle nostre intenzioni e interpretiamo meglio quelle altrui.
E non corriamo il rischio di venire fraintesi, per esempio, in famiglia, nei rapporti con il partner, con gli amici e con i colleghi sul luogo di lavoro. Una parola, un silenzio, uno sbattere di ciglia o una stretta di mano più o meno decisa, hanno il potere di cambiare la vita, la nostra come quella di chi ci è accanto. E nel momento in cui ne prenderemo atto diventeremo protagonisti di una piccola grande rivoluzione.
BIBLIOGRAFIA
– V. Caprioglio. L’arte di comunicare. Le parole giuste ci fanno stare bene. Edizioni Riza S.p.A. 2013.
Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia